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Non tutti gli atti di una persona sono un riflesso esatto del suo proprio “telos” (cioè del suo proprio fine esistenziale ed etica personale) o del miglior telos sociale. A volte sono il risultato di pensieri accidentali, esperienze distorte o condizionamenti non voluti.
Nel caso in cui tali atti contraddicano esplicitamente il Bene Universale personale o collettivo, la Chiesa parla di «peccato»: sono «peccati» tutto ciò che disumanizza l’uomo il quale, pur peccatore, per il magistero resta «persona» titolare in via permanente di «soggettività morale» (sebbene negativa). La rivelazione, a parte le parole1 che di volta sceglie di usare per riferirsi al “peccato”, non si preoccupa di fornirne una definizione “scientifica”, presenta piuttosto una serie di situazioni, racconti ed aneddoti che ne rendono trasparente la natura. Arguiamo così che il peccato non è la semplice infrazione di un precetto, ma qualcosa di molto più vasto e complesso:
- Offesa a Dio
- Trasgressione del Patto
- Infedeltà, prostituzione, adulterio e fornicazione2
- Rottura dell’ordine naturale
- Rottura della relazione dell’uomo con Dio
- Rottura dell’amicizia con Dio
- Rottura della relazione dell’uomo con altri uomini
- Rifiuto di Dio e del suo progetto
- Impedimento alla crescita del Regno
- Maltrattamento del mondo «buono»
- Diffidenza verso Dio
- Rifiuto del Verbo; chiusura del cuore e delle orecchie di fronte alla Verità (alla moda dei farisei)
- Idolatria (elevazione agli onori degli altari di un familiare, di un lavoro o di una cosa)
- Autoidolatria, autoglorificazione, presunzione di salvarsi da soli
- Rivendicazione assoluta di autonomia e indipendenza rispetto a Dio
- Aria di sufficienza verso il Creatore
- Rovesciamento del rapporto creatura-Creatore
- Opposizione esplicita a Cristo e azione diretta contro il suo Corpo
Questi temperamenti spirituali sono profondi e potrebbero essere innati nelle anime costituendo negli anni l’habitat ideale in cui atti peccaminosi molteplici, nuovi e continui proliferano per informare di sè il volto umano. Ogni peccato crea infatti uno stato, uno spazio, un’atmosfera che invita a peccati uguali o peggiori.
E’ chiaro che un’educazione cattolica abbastanza precoce potrebbe decelerare certi sviluppi spontanei e selvatici della coscienza, ma a causa del processo di secolarizzazione, oggi comunemente si ritiene che la propria ragione naturale basti a orientare positivamente tutti i comportamenti umani, e, anzi, più compiutamente, che i valori che scorrono nella società terrestre non dovrebbero affatto farsi informare da una fede3, un’ordine celeste o una religione rivelata. La società secolarizzata – guidata dalla scienzah4 – dubita fortemente, non meno che orgogliosamente, dell’esistenza del Valore in Sè e di un Dio quale garante di tal valore sopra tutti gli altri valori.
L’inclinazione o l’obiettivo pare essere la creazione di un «mondo senza peccati» soltanto perchè si è efficacemente creato un mondo senza Dio. Ma tale mondo, evidentemente, precisamente un paradiso non sarà. Il male non è stato espulso, semplicemente non viene chiamato più «male» per evitare ogni forma di «discriminazione» in collettiva, silenziosa, religiosa deferenza al «polticamente corretto». Dunque la secolarizzazione iniziata nel settecento, con l’illuminismo, dopo 3 secoli, in era post-covid, trova il suo più geniale epilogo! Il «rispetto», la neutralità e «la pace» (però soltanto filologica).
Ma non tutti i mali vengono per nuocere.
La secolarizzazione ha contribuito a denunciare una serie di false forme di religiosità e a rendere più autentica l’esperienza della fede cristiana. Di conseguenza, una certa retriva concezione di peccato è stata messa giustamente sotto processo, spingendo il magistero a purificarne l’immagine. Oggi la dottrina cattolica, calcando la mano sulla «etica personalistica» piuttosto che su quella normativistica o mistagogica, si è spogliata di molti fardelli e sovrastrutture medievali: dietro ogni atto dell’uomo, anche «cattivo», c’è sempre e prima di tutto una persona, non sempre e non proprio un demonio!
Alcuni atti, inoltre, protrebbero rispondere direttamente a grandi «strutture di peccato»5 culturali e sociali non poste dall’individuo medesimo ma dalle generazioni a lui precedenti o da governanti insipienti e/o malvagi. L’uomo è avviluppato in una trama storica di colpe da cui è spesso incapace di astrarsi. Si tratta in verità di una «solidarietà tra tutte le cose» tanto impercettibile quanto concreta, per la quale il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo misterioso sugli altri.6 In questo caso il peccato resta personale, ma la responsabilità di esso è condivisa con il sistema sociale di appartenenza. La «Vita Nuova in Cristo» dovrebbe fornire l’antropologia, la filosofia e la cultura necessarie per ripulire e proteggere la propria visione del mondo da condizionamenti segreti, precomprensioni e premesse di senso distorte, ma talvolta neppure col migliore studio questo accade: le antropologie cristiane infatti sono molteplici e reciprocamente difformi (l’antropologia personalista è solo una tra le tante), i testi di riferimento numerosi e prolissi, i buoni insegnanti pochi, gli apostoli ancora meno, e le antropologie rivali (ad es. antropologia materialista) risultano spesso più ficcanti, diffuse e meglio presentate dall’apparato mediatico in azione.
In alcuni casi la cultura occidentale – di scienza e filosofia naturale imbastardita – non respinge tout court la logica del peccato come sciocca, insensata, primitiva etc, ma la usa per irrorare una sorta di oscura ma piacevole “mistica del male”, tratteggiabile alla maniera seguente.
Solo nella perdizione più radicale Dio può essere veramente Dio nei nostri riguardi.
Il peccatore che riconosce umilmente la propria colpa è più vicino a Dio di un ligio cattolico ottusamente pago di se stesso.
Il peccato è una condizione intrinsecamente necessaria non solo alla esistenza fisiologica umana, ma anche alla grazia divina e alla luce redentrice del Cristo! La Chiesa cattolica dice che esso è, di sua natura, improduttivo, ma questo non è vero. Esso ha valore in sè perchè è sorgente di tutti i beni che verranno dalla confessione della colpa e dal perdono misericordioso di Dio.
Il peccato non va schivato come fosse una pallottola, ma accettato e accolto serenamente dentro di sè perchè è una fatalità ineluttabile e preziosa della natura umana. L’impegno contro di esso non deve essere assoluto.
In questo humus culturale – più stallatico che humus – la tesi squisitamente catechetica secondo cui «il peccato offende la santità di Dio», faticherà sicuramente ad essere colta, allorchè una intera generazione appassionata di scienzah non capisce razionalmente dove sia questo Dio e per quale motivo, se è nei cieli, dovrebbe sentirsi urtato da un cotanto utile e benefico «peccatuccio».
N O T E
1 Nell’Antico Testamento i termini più usati per designarlo, in ordine di frequenza, sono: «HATTA ‘T» (fallire, mancare l’obiettivo); «PESA» (protesta, ribellione, azione delittuosa, reato); «AWON» (defezione, perversione, tradimento). Nel Nuovo Testamento: «HAMARTIA» (traduzione greca dall’ebraico hatta ‘t).
2 La Alleanza uomo-Dio veniva dagli ebrei interpretata in senso coniugale; “l’adulterio” su accennato non è quindi solo un peccato contro il proprio partner, ma immagine e “stile” di un peccato ben più grande, universale!
3 Per i secolaristi la «fede» è una motivazione interiore come tante. Non ha una origine extra-mondana, e pure se l’avesse, rimarrebbe quel che è: un supporto psicologico.
4 La BIOLOGIA ha chiarificato la funzione degli istinti e reso trasparente il carattere ereditario di certe inclinazioni; la SOCIOLOGIA ha posto l’accento sull’influsso esercitato dall’ambiente e dall’educazione nell’ambito delle scelte personali; la ANTROPOLOGIA CULTURALE ha dato sempre più rilievo alla storicità (e dunque alla relatività) dei comportamenti e dei costumi umani. La secolorizzazione scientifica ha assolutizzato questi dati, trasformandosi in ideologia e trasformando l’uomo in un «animale evoluto» dotato soltanto parzialmente della libertà spirituale propria di una persona angelica, umana o divina.
5 Da un’enciclica di Papa Giovanni Paolo II.
6 Questo è il lato oscuro della medaglia. Il lato luminoso è quel che la Chiesa abitualmente chiama «comunione dei santi», per la quale tutte le grazie e tutti i meriti conquistati da un santo – Gesù Cristo primo fra tutti – fanno la gioia anche dei meno santi, un patrimonio segreto, un tesoro nascosto da cui anche un non-santo può attingere per diventare santo.