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La parola “permacOltura” e la parola “permacUltura” si differenziano soltanto di una vocale: nella prima troviamo una “O” chiusa come un globo o pianeta, mentre nella seconda abbiamo una “U” con i suoi due bracci aperti al cielo, che possiamo interpretare come una O che, spaccandosi per eccesso di pienezza, è sbocciata diventando U!
Dunque fra Natura e Cultura non c’è conflitto, ma consequenzialità, e la permacOltura genera la permacUltura, e viceversa!
Ma a prima vista sembrerebbe più sensato adoperare la sola espressione “perma-COLTURA”, la quale espressione in originariamente demarca, nei testi mollisoniani, semplicemente una “coltura di perenni”.
Ulivi, viti e carrubi; peri, meli e noci sono in effetti piante amate, lodate ed esaltate dalla permacultura, e si tratta di “perenni”, ovvero piante “permanenti” che, in quanto tali, esimono l’uomo da fastidiosi lavori di risemina e riaratura del suolo, laddove nel mondo agricolo tradizionale si fa uso molto più largo delle piante annuali, ovvero piante che dopo il ciclo vegetativo (appunto “annuale”), muoiono e vanno perciò reinserite nell’ecosistema tramite conservazione dei semi, semina in semenzaio o su sodo, preparazione del letto di semina, assistenza, irrigazioni, concimazioni speciali. Inoltre, l’agricoltura occidentale predilige le MONOCOLTURE, tanto che se un agricoltore dicesse: «io coltivo frutta», allora l’esperto gli risponderebbe: «allora sei un frutticoltore!». Se insalate: «allora sei un orticoltore!». Se cereali: «…cerealicoltore». Se foreste: «silvicoltore». Se api: «apicoltore». Se fiori: «floricoltore». Se uva: «viticoltore» e così via.
Insomma, tanto più si restringe il campo di occupazione, tanto più oggi in campagna sembra di esercitare un vero e proprio mestiere. Potrebbe mai un allevatore di capre, dirsi “agricoltore”?
Oh, certo che no! «Solo un ignorante parlerebbe così!».
Ma allora ecco qui sorgere le vere ragioni di una permacultura con la U: in natura ogni cosa ha bisogno dell’altra, in natura ogni cosa costituisce un’anello, in natura non posso coltivare pannocchie, se in qualche maniera non coltivo anche un modo per nutrire quelle pannocchie!
Questi nutrienti li dà molto facilmente la cacca di bovino (il letame suino o avicolo è di minor qualità), e allora ecco che l’agricoltore si fonde con l’allevatore per diventare un permacultore, il quale si occuperà anche delle foreste, delle falde idriche, della casa, dell’energia, dei fiori e delle api non meno che di politica ed economia. Perché? Perché…
Tutto è connesso
Il permacoltore, differentemente da un permacultore, trascura gli aspetti più organici del sistema di convivenza sociale cui partecipa e si concentra su quelli meramente colturali dell’ecosistema in cui alligna, nel miglioramento dei quali può divenire anche molto ferrato. Ma è fondamentalmente disisnteressato all’Altro (persino in senso spirituale!).
Il termine “permacultura” evoca uno spessore a più ampio spettro rispetto a quello del più semplice “permacoltura”, che sottoporrebbe la disciplina al rischio di essere abitualmente scambiata per una nuova affascinante tecnica colturale sostenibile.
LA PERMACULTURA NON E’ UN
METODO DI COLTIVAZIONE
La permacultura è la cultura e l’anima dell’agricoltura, una specie di agronomia in versione “adulta”, socialmente formata, permanente. Così, la permacoltura è una coltura che segue i principi della permacultura, mentre la permacultura è la cultura che sta dietro le permacolture.
Il suo più preciso sinonimo sarebbe quindi agricUltura, imbrigliando nel quale il ruolo tutto speciale assegnato alle perenni (colture relativamente “permanenti”), diventa perma-cultura.
L’ideale della permacoltura è una coltivazione “permanente” su largo raggio: una volta avviata con premurosa ed attenta progettazione, avrà bisogno di pochissimi interventi e così possiamo vantarci con gli increduli agricoltori della vecchia scuola d’Occidente dicendo che la nostra coltura «va avanti da sola» e nel migliore dei modi.
L’ideale della permacultura, invece, è una inculturazione “permanente” su largo raggio: unisce cose, animali, piante e persone; coinvolge persone e associazioni locali, statuti, leggi e libertà; una volta avviata con premurosa ed attenta progettazione, avrà bisogno di pochissimi interventi e così un paese intero potrà vantarsi con le altre esterefatte culture che i suoi figli «vanno avanti da soli» – senza il Dispostismo Illuminato di nessuno Stato – e nondimeno nel migliore dei modi.
Una «cultura permanente» per il trattamento della terra e dei suoi abitanti, salverà permanentemente il pianeta dalle aggressioni organizzate di pochi uomini ricchi e potenti, e poi «andrà avanti da solo», senza polpottiani1 apparati mediatico-burocratici nè militari a sostegno.
N O T E
1…da “Polpot”, noto dittatore africano.
Un commento su “PermacUltura o permacOltura? Liberiamoci da errori infestanti!”